Dal 1° aprile 2024 termineranno ufficialmente le misure emergenziali che hanno permesso a genitori di figli under 14 e dipendenti con problemi di salute di accedere facilmente al lavoro da remoto; questo non determinerà la “fine dello Smartworking”, come già segnalato da molti titoli clickbait, ma semplicemente un ritorno definitivo alla necessità di accordi individuali.

 

Questa notizia riaccende il dibattito a proposito del Lavoro Agile: Smartworking sì, o Smartworking no?

 

Negli ultimi tre anni si è registrato un graduale abbandono dello Smartworking da parte di molte aziende private, e gli imprenditori che si sono sempre professati contrari hanno tirato un sospiro di sollievo. Ma i dati cosa ci dicono davvero?

 

Prima di tutto, bisogna riflettere se l’imposizione del rientro in ufficio sia dettato da dati concreti che attestano un peggioramento della performance e della qualità del lavoro, o si tratta di semplice “cultura del controllo”, tanto diffusa in Italia; in effetti, questo trend riguarda solo le piccole e medie imprese, mentre le grandi aziende sostengono ancora il Lavoro Agile, e sperimentano altre modalità di lavoro flessibile, come la settimana lavorativa corta.

 

Inoltre, bisognerebbe capire se questo rientro sia stato davvero così graduale o semplicemente imposto dall’alto. Sono state svolte numerose ricerche, che dimostrerebbero come i dipendenti non abbiano gradito la scelta e la mala gestione, ma non solo: secondo dati diffusi da Envoy, ben l’80% dei dirigenti si sarebbe pentito del rientro coatto, ammettendo che la scelta sarebbe stata dettata più da un preconcetto che da una reale necessità. Anche quei manager che restano fedeli oppositori dell’Agile Working ammettono, in ogni caso, che le modalità di rientro sono state mal gestite, poiché non avrebbero tenuto conto delle reazioni dei dipendenti e dell’impatto dell’ennesimo cambiamento.

 

Kathy Kacher, consulente per dirigenti e manager che ha collaborato con molte aziende per definire strategie per facilitare il ritorno in ufficio, afferma che “le organizzazioni che hanno voluto forzare i dipendenti se ne sono pentite” e “hanno dovuto fare marcia indietro”, per evitare una emorragia di risorse.

 

Questo è il problema incontrato da molte aziende in USA: persino colossi come Disney e Zoom, nel richiedere il rientro in sede, hanno dovuto tener conto del rischio di perdere dipendenti e di non riuscire ad attirare più talenti. I dati dimostrano come il tasso di turnover sia più alto nelle aziende con politiche confuse o assenti di gestione del Lavoro Agile; il 42% dei talenti alla ricerca di lavoro rifiuta a prescindere offerte lavorative che non permettano la flessibilità nella scelta. Le stesse ricerche che confermano questo trend, dimostrano anche che il bisogno di flessibilità rappresenti uno dei fattori che determinano la scelta del posto di lavoro (28%), quasi al pari dell’avanzamento di carriera (32%) e poco al di sotto della sicurezza (34%) e dello stipendio (48%). Come possiamo continuare ad ignorare questi segnali?

 

Ma soprattutto, cosa vogliono dirci queste ricerche, di remotizzare tutto? No, perché la chiave è nella possibilità di poter scegliere: sapere di dover andare in ufficio solo pochi giorni a settimana o solo al bisogno fa percepire questa evenienza come una rottura della routine lavorativa, permettendo ai dipendenti di viverla al meglio, favorendo anche quelle risorse molto distanti dalla sede.

 

Inoltre, anche per i dipendenti la remotizzazione al 100% alla lunga potrebbe avere effetti collaterali. Alcuni studi confermano che determinate categorie di lavoratori –  e soprattutto di lavoratrici – temono di perdere opportunità di carriera lavorando da casa: trattandosi di categorie già marginalizzate, il tenersi lontano dall’ufficio rischierebbe di porle ulteriormente in ombra. A ciò bisogna aggiungere la sensazione di isolamento, la mancanza di opportunità di socializzare e la difficoltà, per alcune persone, a distinguere vita privata e professionale; non tutti i dipendenti sono portati per il lavoro da remoto, o quantomeno necessitano di adeguata formazione.

 

Quindi, che si fa? Come spesso succede, la risposta è nel mezzo:

 

  • Favorite la libera scelta: inutile sbandierare il proprio dissenso contro lo Smartworking, a favore del rientro forzato, perché farà scappare i talenti a gambe levate. Ascoltate i bisogni dei dipendenti: cosa è meglio per loro?
  • Valutate strategie ponderate, basate su dati, non su preconcetti; se ne sentite il bisogno, coinvolgete dei consulenti specializzati.
  • Puntate sulla formazione: non è semplice il lavoro da remoto, e un adeguato accompagnamento permetterebbe di migliorare la performance di chi lavora da casa.
  • Promuovete la connessione all’interno del team, non con riunioni obbligatorie e infinite, ma con richieste di feedback e team meeting periodici.
  • Create percorsi di sviluppo professionale per tutti, anche per chi lavora da remoto.
  • Favorite tempo di qualità in azienda: meno ma buono. Create opportunità di scambio e incontro, celebrate le vittorie del team e gli obiettivi raggiunti.